L’articolo con cui l’Arcivescovo di Catania invita i giovani al dialogo ha richiamato un episodio di estrema gravità accaduto nell’Università etnea e che il clima acceso delle polemiche sul 25 Aprile aveva sommerso, proprio nel 76* anniversario del risultato elettorale che indicò la via degasperiana per la costruzione dell’Italia democratica post-fascista. Quest’episodio ci ha riportato indietro alle intolleranze ed alle violenze degli opposti estremismi degli anni ‘70, quando l’Italia fu insanguinata da frange di giovani di opposte tendenze che si fronteggiavano con la violenza o colpivano scelleratamente in clandestinità. Il fatto è ormai noto: una sessantina di appartenenti a “collettivi” catanesi ha impedito che si svolgesse nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università un convegno di alto livello scientifico, organizzato da Scienza & Vita su “La disforia di genere nei minori e la “carriera alias” nella scuola”. Attratti dal tema, dal livello dei relatori e anche dal desiderio di comprendere le altrui ragioni, eravamo presenti in molti, primo fra tutti l’Arcivescovo di Catania, i Direttori delle Aziende ospedaliere e numerosi studenti e docenti, medici, giuristi, filosofi, bioeticisti etc. Ma già durante l’introduzione del Prof. Ruggieri, Ordinario di Pediatria e Delegato della Società Italiana di Pediatria, si sono levate dal fondo della sala alte grida per impedirne la prosecuzione.
Gli organizzatori hanno assicurato ai contestatori che avrebbero potuto esprimere, intervenendo liberamente, il loro pensiero. I presenti - tutti interessati come me a meglio conoscere le complesse problematiche in discussione, anche alla luce della recente Dichiarazione Pontificia “Dignità infinita”, compresi i motivi del dissenso - hanno tentato invano di dialogare per convincere a desistere le “attiviste” più agitate (erano in gran parte donne).
Lo stesso Arcivescovo si è prodigato a lungo per stabilire un dialogo, come anche il Direttore generale e il Prof. Maurizio Caserta, candidato sindaco e consigliere comunale del PD. Ma un crescendo di urla, con i più facinorosi imbaldanziti proprio dalla prudenza e dalla disponibilità al dialogo degli organizzatori, ha indotto questi ultimi a rinviare l’incontro ad altra data, anche per l’assoluta indifferenza delle forze dell’ordine. Ritengo che la maggior parte dei dissenzienti non si rendessero conto dell’effetto boomerang e della gravità dell’atto , ma l’allarmante episodio si aggiunge agli altri che stanno vedendo le Università italiane tornare ostaggio di minoranze che, in nome di cause a volte nobilissime e condivisibili, le degradano ad episodi inaccettabili e contraddittori di intolleranza spesso violenta. Questi sono incompatibili con le garanzie costituzionali di libertà di espressione che una società civile e democratica - senza entrare nel merito - deve garantire a monte a cittadini e libere istituzioni (prime fra tutte le Università), pena la sua stessa esistenza.
Lasciando con amarezza e preoccupazione il Rettorato, mi sono ritornate in mente le scene di quando nel ‘68 lo avevo occupato da studente nel clima infuocato di quella contestazione “globale”, cioè generazionale e politica. Allora si contestava e si occupava proprio per garantire a tutti, anche agli studenti, il diritto di esprimersi, mai per impedirlo. Anche nelle facoltà “rosse”, come Lettere, mi si consentiva di intervenire nelle animate assemblee e spesso prevalevano le nostre ragioni.
Ricordo una sola scaramuccia violenta, con Turi Giammellaro (detto Jenco, fedelissimo di Paolone, storico leader della destra catanese) ferito ad una gamba nel tentativo di impedire la chiusura del portone per escluderli, sotto lo sguardo quasi paterno del brigadiere Miccichè della sempre presente Digos di allora. Nella “mia” Giurisprudenza finimmo per prevalere gli studenti cattolici e liberali e, sotto la presidenza dei compianti Enzo Musco e Antonio Lombardo (rivelatisi poi genii del diritto penale e della scienza della politica) approvammo il documento da me preparato insieme a Sandro Corbino sulla riorganizzazione degli studi e per un nuovo rapporto università/società. Mai nessuno oso’ tentare di impedire a chiunque altro di esprimersi e alla fine si votava.
Certo, c’era la partecipazione di gran parte degli studenti, unico antidoto democratico al prevalere di minoranze chiassose quanto scarsamente rappresentative. Oggi l’indifferenza dei più consente a chicchessia di imporsi senza contarsi, come d’altra parte accade anche a livello politico-elettorale : nel 1948 la DC ottenne il 48% dei voti su oltre 90% di votanti, oggi chi governa ottiene si e no il 30% su meno di metà di votanti, cioè appena il 15% dei consensi. Non basta per rendere una democrazia forte e difendibile dall’assalto di lobby e minoranze ben organizzate. Per chi poi si considera “di sinistra”, come dichiarano paradossalmente molti contestatori della libertà di parola, occorre ricordare che gli atteggiamenti provocatori hanno sempre prodotto nella storia - come nel 1922 - pesanti rigurgiti di destra.
Una salutare più ampia partecipazione si attende soprattutto dai cattolici che, su alcune questioni irrinunciabili, non possono omissivamente lasciare soli Papa Francesco e i Vescovi. Dov’erano venerdì scorso le tante associazioni che, pur meritoriamente, operano nel territorio catanese ? Le libertà civili e religiose vanno rivendicate e tutelate, ma anche esercitate in concreto affinché non scompaiano per desuetudine. Ai primi di luglio si celebrerà a Trieste la 50^ Settimana Sociale dei cattolici italiani proprio sul tema “Al cuore della democrazia”: l’episodio di Catania stigmatizza come c’è ancora chi - come negli anni di piombo - mira dritto a colpire quel cuore, la libertà di espressione. E i cattolici sono chiamati ancora una volta in prima linea a difenderla, come accadde nella Resistenza, nella Costituente, nella scelta europea e atlantica, nella grande crescita del Paese e nella difesa contro le Brigate Rosse. Come testimoniano nei tanti luoghi del mondo dove subiscono persecuzioni. Dialogando, rispettando le diversità, ma non rinunciando ai propri valori, peraltro portanti della nostra società e della nostra cultura.
Per altri versi ciò vale ancor più per le forze dell’ordine e le autorità loro preposte : il diritto di esprimere liberamente la propria opinione in uno stato democratico non è un optional, è il fondamento stesso della democrazia. Se non viene assicurata questa libertà, nessun dialogo risulta possibile. Ripeto, senza entrare nel merito.
Come Mattarella, aborrisco i “manganelli”, ma il diritto fondamentale ad esprimersi liberamente va tutelato comunque e sempre, a tutti i costi, anche con la vita, come ammoniva Voltaire : “Disapprovo quel che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”.
Mi auguro che Catania, la sua antica Universita’ e tutti i cittadini sinceramente democratici celebrino al più presto, dialogando, un’adeguata “riparazione” di questo grave vulnus.
Francesco Attaguile
Ottima disamina, caro Francesco, la tua. COMPLIMENTI!
Mi viene in mente il 7 dicembre 1967 quando, noi studenti della Università Cattolica a Milano, davamo inizio a quel duro confronto con le autorità accademiche che segnerà l'inizio della contestazione studentesca lombarda che si salderà a quella operaia e in tutta Italia.
Io ero tra questi.
Non eravamo certo "comunisti" ; non era comunista Mario Capanna, mio compagno di corso della facoltà di filosofia dove insegnavano Emanuele Severino, Gustavo Bontadini, Sofia Vanni Rovighi... Eravamo cattolici e studenti bravi e socialmente sensibili che contestavamo l'aumento delle tasse del 40% e non solo...
Poi si passò ad altro in un crescendo senza apparente ritorno per troppo tempo, per " rispondere a un …
Condivido tutto tranne l’ottimismo dell’ultimo pensiero. Occorrerà che cresca e venga educata un’altra generazione di giovani con a fianco le famiglie e la scuola e che abbiano la volontà di aprire le loro menti all’apprendimento, al sapere, al rispetto delle regole e del proprio simile, ai principi della solidarietà e della convivenza civile. Ma bisogna iniziare dalla famiglia, dai genitori e dalla scuola.
Chiediamo all'Arcivescovo di potenziare il ruolo sia delle Parrocchie e dell''istituto teologico S. Paolo per la formazione del Clero, sia dell'Azione Cattolica e delle Istituzioni educative ecclesiastiche.
Fermo restando il ruolo non indifferente di ciascuno di noi in seno alle famiglie e alle istituzioni professionali...
Ottimo! ?