Il governo Schifani ha dichiarato lo stato di crisi e di emergenza per dodici mesi per 116 Comuni siciliani colpiti dall’ondata di maltempo nei giorni 16 e 17 gennaio scorsi. Lo ha deliberato la giunta regionale nella seduta di oggi, su proposta del presidente della Regione, Renato Schifani, in base alla relazione firmata dal dirigente generale del dipartimento regionale della Protezione civile, Salvo Cocina. La declaratoria consentirà di attivare le iniziative necessarie a garantire i primi interventi per la messa in sicurezza del territorio nelle aree delle sei province interessate. Secondo una prima stima, che non tiene conto del settore agricolo, i danni ammonterebbero a circa 70 milioni di euro. I comprensori maggiormente colpiti sono quelli del Messinese e del Siracusano. Il dipartimento di Protezione civile si riserva anche di proporre la richiesta di stato di emergenza nazionale, dopo avere acquisito dai Comuni tutte le relazioni sulle conseguenze del maltempo. Il dirigente generale della Protezione civile regionale, inoltre, è stato designato commissario delegato con l’incarico di provvedere al censimento dei danni, alla redazione del piano degli interventi per la riparazione dei danni e per il ripristino e la messa in sicurezza dei luoghi, nonché per la realizzazione delle azioni di somma urgenza per ripristinare e rendere sicure le strutture stradali litoranee di Santa Teresa Riva e dei muri d’argine del fiume Alcantara a protezione del depuratore consortile di Giardini, nel Messinese. Proprio ieri, il presidente Schifani aveva compiuto un sopralluogo sul lungomare di Santa Teresa Riva per prendere atto personalmente delle lesioni arrecate dalle mareggiate alla sede stradale litoranea della cittadina. Il governatore aveva assicurato il massimo impegno per avviare, nei tempi più brevi possibili, gli interventi necessari a ripristinare la strada e le altre strutture danneggiate e dare serenità agli abitanti. Oltre alla Città metropolitana di Messina e al Consorzio Rete fognante Taormina, questi i 116 i Comuni interessati dal provvedimento:. Città Metropolitana di Catania: Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Adrano, Bronte, Catania, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Maniace, Misterbianco, Ragalna, Randazzo, Riposto, San Giovanni La Punta, Sant’Agata li Battiati, Valverde, Vizzini, Piedimonte Etneo, Mineo, Nicolosi. Provincia di Enna: Agira, Cerami. Città Metropolitana di Messina: Alcara li Fusi, Capizzi, Castroreale, Falcone, Fondachelli Fantina, Furnari, Gioiosa Marea, Letojanni, Librizzi, Lipari, Malfa, Mazzarrà S. Andrea, Milazzo, Monforte San Giorgio, Naso, Novara di Sicilia, Oliveri, Pace del Mela, Patti, Raccuja, Roccavaldina, Rodì Milici, S. Lucia del Mela, San Pier Niceto, San Salvatore di Fitalia, Sant’Agata di Militello, S. Angelo di Brolo, San Piero Patti, Santa Marina Salina, Scaletta Zanclea, Torrenova, Tripi, Tusa, Ucria, Alì, Alì Terme, Antillo, Casalvecchio Siculo, Castelmola, Fiumedinisi, Francavilla di Sicilia, Furci Siculo, Gallodoro, Giardini Naxos, Graniti, Letojanni, Limina, Malvagna, Mandanici, Messina, Motta Camastra, Nizza di Sicilia, Pagliara, Roccafiorita, Roccalumera, Roccella Valdemone, S. Alessio Siculo, Santa Teresa Riva, S. Domenica Vittoria, Savoca, Scaletta Zanclea, Taormina, Condrò, Mongiuffi Melia, Moio Alcantara, Piraino. Città Metropolitana di Palermo: Ciminna, Ustica. Provincia di Ragusa: Acate, Ispica, Giarratana, Modica, Pozzallo, Santa Croce Camerina, Ragusa. Provincia di Siracusa: Augusta, Avola, Buccheri, Buscemi, Canicattini Bagni, Carlentini, Cassaro, Ferla, Floridia, Francofonte, Noto, Pachino, Palazzolo Acreide, Portopalo di Capo Passero, Priolo Gargallo, Rosolini, Siracusa, Sortino, Melilli, Francofonte.

Il lungo percorso compiuto da don Luigi Sturzo che lo condurrà il 18 gennaio del 1919 a fondare il Partito Popolare ebbe inizio almeno un quindicennio prima, con lo storico discorso di Caltagirone del 24 dicembre del 1905. In quella occasione, Sturzo manifestò l’intenzione di dar vita a un partito che avesse un respiro nazionale, di ispirazione cristiana, ma nel contempo aconfessionale, laico e autonomo dalle gerarchie. Per questa ragione, il partito che immaginava Sturzo non si sarebbe dovuto fregiare dell’aggettivo cattolico. L’aconfessionalità del progetto sturziano rifiutava alla radice ogni tentazione di fare di un eventuale partito il “braccio secolare” delle gerarchie, ma rigettava anche la pretesa di rappresentare l’unità politica dei cattolici italiani.

Siamo giunti al 18 gennaio del 1919, l’idea diventa fatto. Contro la tendenza a fare dei cattolici la stampella di altre offerte politiche, negoziando seggi, come ad esempio con il Patto Gentiloni relativo alle elezioni del 1913, nasce il Partito Popolare che non era né un partito cattolico, né il partito dei cattolici, ma un partito di cattolici che si appellava «a tutti gli uomini liberi e forti», per dar vita ad un partito autonomo. Ecco come il sacerdote di Caltagirone ricorda la fondazione del partito: «Era mezzanotte quando ci separammo e spontaneamente […] passando davanti la Chiesa dei santi Apostoli picchiammo alla porta: c’era l’adorazione notturna. […] Durante quest’ora di adorazione rievocai tutta la tragedia della mia vita. Non avevo mai chiesto nulla, non cercavo nulla, ero rimasto semplice prete […]. Accettavo la nuova carica di capo del partito popolare con la amarezza nel cuore, ma come un apostolato, come un sacrificio».

All’Appello seguiva un programma articolato in dodici punti, dove gli aspetti di politica interna erano espressi dalla promozione per l’integrità della famiglia, il voto alle donne, l’assistenza e la protezione dell’infanzia, nonché l’attuazione di una legislazione sociale, improntata alla cooperazione, alla riforma tributaria, alla riforma agraria, al decentramento amministrativo e alla libertà d’insegnamento. Sul fronte della politica estera, il programma del Partito Popolare si mostrava apertamente internazionalista, accettando i Quattordici punti di Wilson e dichiarandosi favorevole all’adesione alla Società delle Nazioni.

L’eredità teorica dell’azione politica sturziana è tutta racchiusa nel termine popolarismo, che si oppone al populismo in forza di una nozione di popolo articolata, dunque plurale, e differenziata al suo interno, tutt’altro che omogenea, refrattaria tanto al paternalismo quanto al leaderismo carismatico che identificano nel capo il buon pastore al quale affidare i destini del gregge. Una teoria politica con la quale il fondatore del Partito Popolare intendeva sfidare i due monopoli: quello dello stato accentratore, tipico della tradizione fintamente liberale italiana, e quello marxista e socialista nel campo operaio. Il popolarismo sturziano vuole combattere entrambi questi monopoli, in nome della libertà, declinata nel campo dell’insegnamento, dell’amministrazione locale, della rappresentanza politica e sindacale e, non ultimo, della diffusione della proprietà e della piccola e media impresa.

Con la fondazione del Partito Popolare, Sturzo intendeva affermare un punto chiave del rapporto tra cattolici e politica, mettendo allo stesso tempo fuori gioco ogni tentativo di clericalismo, di nostalgia verso il legame fra trono e altare tipico dell’antico regime, e, specularmente, di asservimento del fatto religioso alla ragion di Stato, tipico di un certo nuovo regime in cui lo Stato si attesta come monopolista del potere.

Affermando la reciproca indisponibilità della sfera politica e di quella religiosa a lasciarsi strumentalizzare l’una dall’altra, Sturzo ha dimostrato una conoscenza profonda della complessa realtà sociale creatasi con la modernità, nella quale la dimensione del regnum instrumentum religionis si intreccia con quella della religio instrumentum regni. Sturzo rigetta entrambe le derive in nome di una società di per sé eterogenea, plurale, plurarchica, differenziata per funzioni, indisponibile a qualsiasi pretesa monopolistica avanzata da una qualsiasi delle sfere sociali che compongono la società civile, di cui la politica è parte e non sintesi, perché la sintesi è operata dalla coscienza di ciascuna persona.

Di conseguenza, nelle democrazie moderne, dal momento che il cattolicesimo è portatore di un’istanza universale, per Sturzo non può esistere una politica esercitata da un partito “cattolico” né un cattolicesimo politico ufficiale, perché entrambi sono formule di esclusione di parti del popolo e anzi pretendono di rappresentarne la porzione migliore: è questa, in ultima analisi, l’essenza di qualsiasi offerta politica di stampo populista, tanto di destra quanto di sinistra. Seguendo la definizione di Dario Antiseri, per populismo intendiamo una concezione della politica in cui si stabilisce un legame mistico tra ciò che il popolo pensa e spera e il capo che lo teorizza. Il carattere distintivo di tale legame è l’idea che alcuni sono i puri, gli eletti, i migliori e il resto è putridume. Una setta con un dogma (la verità) e quando il capo cambia idea, cambia anche la verità.

Diametralmente opposta è stata la proposta politica di Sturzo che si espresse attraverso la fondazione di un partito “di” cattolici e non “dei” cattolici, aperto al contributo di tutte le persone che avrebbero condiviso il programma; è questo il senso del popolarismo che riconosce nel “metodo di libertà” e nel principio di rappresentanza i due irrinunciabili portati del liberalismo e così instaura con esso un rapporto indissolubile.

Per questo motivo, la proposta di Sturzo è davvero laica, nel senso di aconfessionale. Il laico credente fa parte del popolo di Dio non in quanto sacrestano o beghino, né in quanto avanguardia “avvertita” e sensibile a chissà quale progetto ecclesiastico. Non è la longa manus del clero, la sua rappresentazione politica, né può servirsi della fede e dei suoi simboli come di una etichetta per rendere riconoscibile la propria attività tra le altre, magari utilizzandola come una rendita di posizione.

Come Sturzo aveva compreso bene, quella del laico credente è una missione di servizio, il politico è un civil servant (e non un servitore dello Stato, che per Sturzo è una parte, il nome astratto con il quale intendiamo l’organizzazione della pubblica amministrazione), un rendersi disponibile a partecipare attivamente alla costituzione e alla manutenzione del bene comune, ricorrendo al “metodo di libertà” e al principio di rappresentanza. Proprio da questo, ne discende che un partito che voglia realizzare una progettualità cristianamente ispirata potrà farlo solo immaginando di incarnare in un concreto popolo, fatto di persone libere e forti, alcuni valori, attraverso la realizzazione di determinate politiche che guardino all’interesse di tutti, come scrive Sturzo nel suo manifesto: «senza pregiudizi né preconcetti».

Il mezzo per farlo è un programma, cioè una piattaforma di policy, diremmo oggi, sulla quale chiamare a convergere i più ampi settori della società e sulla base della quale competere e cooperare con altre forze politiche, fossero anche queste tributarie a vario titolo dell’assiologia cristiana.

In breve, la proposta popolare non è esclusiva e non chiude le porte ad altre interpretazioni del messaggio cristiano in politica; ma non è neppure sintetica, non pretende cioè di mediare fra sensibilità differenti su questioni temporali e contingenti in cui è naturale che il laicato possa esprimere posizioni differenti. Per questa ragione, porsi come eredi esclusivi dell’eredità sturziana suona un po’ farlocco, sempre che non si intenda rovesciare il popolarismo nel suo contrario, a merce di scambio interna per barattare consensi con posti o prebende, reintroducendo surrettiziamente nel 2025 proprio la logica di quel Patto Gentiloni che Sturzo aveva combattuto e superato nel lontano 1919.

IL 20 gennaio prossimo , al Cine Teatro Urania  gli studenti dell'Istituto Tecnico Salvatore Citelli di Regalbuto , avranno l'opportunità di incontrare la celebre scrittrice italiana Dacia Maraini , in un evento organizzato nell'ambito del progetto " libriamoci" durante il quale gli studenti hanno potuto leggere alcuni libri pubblicati dalla Maraini quali : Vita Mia , In nome di Ipazia e La Scuola ci Salverà. Referente del progetto è la professoressa Francesca Lo Sauro . L'evento sarà aperto dal Preside prof. Serafino Lo Cascio e dalla referente del Plesso scolastico Prof.ssa Giuseppa Giaggeri. Nel corso dell'incontro gli studenti avranno l'opportunità di porre domande e di interagire con la scrittrice e per loro sarà un'importante occasione di confronto e crescita offrendo loro una preziosa prospettiva sulla letteratura italiana e sulle sfide sociali contemporanee.

Vita mia" di Dacia Maraini* è un libro intimo e commovente che racconta l'infanzia della scrittrice trascorsa in un campo di prigionia giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale Maraini narra con sensibilità e profondità le esperienze vissute insieme alla sua famiglia, offrendo un'analisi toccante e riflessiva sulla resilienza e la forza umana. l libro è strutturato come una serie di ricordi e riflessioni, in cui Maraini descrive le difficoltà e le sfide affrontate durante la prigionia, ma anche i momenti di speranza e solidarietà che hanno contribuito a mantenere viva la sua anima. "Vita mia"* non è solo un racconto di sofferenza, ma anche una testimonianza della capacità di resilienza e di adattamento di una bambina in circostanze estremamente difficili. Maraini riesce a trovare bellezza e significato anche nelle situazioni più buie, offrendo un messaggio di speranza e di forza interiore.

In nome di Ipazia"* di Dacia Maraini è una raccolta di articoli, lettere e riflessioni che esplorano il destino femminile attraverso la figura di Ipazia, una filosofa greca antica uccisa dai cristiani fanatici nel V secolo.  Maraini utilizza la storia di Ipazia come punto di partenza per discutere temi di libertà, oppressione e coraggio femminile. Il libro include anche articoli storici e personali , come una lettera aperta a Pier Paolo Pasolini e una lettera a Papa Francesco. Maraini esplora anche l'esperienza delle donne Iraniane e afgane , ampliando il suo sguardo alle sofferenze delle donne in tutto il mondo.

La Scuola ci Salverà è una raccolta  di articoli , interventi e racconti che esplora il ruolo fondamentale dell'Istruzione nella società. Maraini sottolinea come la scuola possa essere un luogo di possibilità e di libertà, dove gli studenti possono sviluppare la loro mente e il loro cuore. Maraini esalta l'importanza degli insegnanti che credono nella loro missione e si sacrificano per dare il meglio di sè, anche in un ambiente ostile. In sintesi " La scuola ci salverà" è un appello alla riflessione e alla riforma del sistema educativo, sottolineando l'importanza della cultura e dell'istruzione per il benessere collettivo.

L'Istituto Citelli apre le porte agli studenti delle scuole medie, offrendo un'occasione imperdibile per conoscere da vicino l'offerta formativa e i laboratori della scuola. Questa iniziativa mira a facilitare l'orientamento e a supportare i ragazzi che si trovano in una fase importante della loro crescita: la scelta sul loro futuro scolastico e professionale.
I laboratori di indirizzo proposti dall’istituto consentono ai ragazzi di scoprire le proprie attitudini e di sperimentare in modo pratico le diverse aree di studio che l’istituto Citelli offre.
La scuola sarà aperta ai ragazzi della scuola media giorno 14 e 17 gennaio 2025 dalle ore 10:00 alle ore 12:00.
Gli incontri informativi per genitori e studenti si svolgeranno durante l’open day, che si terrà martedì   21  gennaio 2025; lo stesso giorno gli studenti potranno partecipare ai vari laboratori.
Durante le tre giornate, docenti e studenti illustreranno l'offerta formativa della scuola e saranno a disposizione per chiarire ogni aspetto relativo ai percorsi disponibili

Regalbuto - Il 16 dicembre 2024, il Cine Teatro Urania di Regalbuto ha ospitato l’Istituto Citelli in una serata ricca di emozioni, riflessioni e sorprese con lo spettacolo “Non il Solito Natale”, realizzato da alcuni studenti sotto la sapiente direzione del professore Sandro Rossino e della prof.ssa Palma Bevacqua.
In un’atmosfera surreale, il palco ha preso vita con una rappresentazione che ha saputo mescolare momenti di profonda introspezione e leggerezza, creando un’esperienza coinvolgente per il pubblico. Il Natale è stato visto attraverso la lente delle emozioni e delle sensazioni degli studenti, rivelando sfumature intime e spesso nascoste, ma anche i lati più giocosi e ironici. Un Natale diverso, ma anche più vicino alla realtà vissuta da ciascuno.
Allo spettacolo ha assistito una rappresentanza dell’amministrazione comunale che ha sottolineato l’importanza dell'evento e l’attenzione che l’Istituto Citelli dedica al dialogo con la comunità locale.
Uno dei momenti più emozionanti è stato l’esibizione di una studentessa dotata di straordinarie doti canore. La sua voce intensa e vibrante ha rapito il pubblico, aggiungendo un tocco di magia alla serata, che ha visto applausi scroscianti e sincera ammirazione per la sua performance.
Il successo di questa rappresentazione teatrale è solo l'ultimo capitolo di una tradizione che l’Istituto Citelli porta avanti con orgoglio, valorizzando ogni anno il talento dei suoi studenti. Lo spettacolo ha dimostrato ancora una volta l’impegno della scuola nell’offrire spazi di espressione artistica, contribuendo al panorama culturale della città di Regalbuto.
“Non il solito Natale” non è stato solo uno spettacolo teatrale, ma un viaggio emozionale che ha coinvolto in modo attivo tutti i presenti, creando una connessione profonda tra gli studenti, i docenti e il pubblico. Un evento che, senza dubbio, rimarrà nel cuore di chi ha avuto il privilegio di viverlo, un Natale speciale che ha saputo regalare qualcosa di veramente unico.

Al Sicily Gym che si è svolto sabato scorso al pala Livatino di  Gela , la squadra delle Stelle di Regalbuto si è laureata campione regionale  conquistando tutti e tre i podei , confermando la crescita di tutte le ragazze che a distanza di poco più di un anno riescono a competere alla pari delle più blasonate scuole di ginnastica ritmica dell'isola. Soddisfazione  , come era naturale, è stata esoressa da  Vittoria Mammana per i traguardi fin qui raggiunti dalle proprie ragazze.

Domenica 8 dicembre, presso la splendida cornice del Teatro Garibaldi di Piazza Armerina (En), è andata in scena l’evento “Celebriamo il Sorriso”, dove arte, spettacolo e solidarietà si sono fusi per dar vita ad una serata indimenticabile.

L’evento, patrocinato dal Comune di Piazza Armerina nonché primo Assessorato al Sorriso, è stato fortemente voluto dall’ideatore del Gogòl, Mauro Todaro, e dall’Associazione “Per Un Mondo di Sorrisi”.

Dalla sua nascita, nel lontano 2016, ad oggi, l’ormai famoso “omino giallo” ha fatto tanta strada, portando gioia e sorrisi in tutto il mondo. E domenica, per la prima volta, approda a teatro, con una scaletta ricca di sorprese e colpi di scena.

Nel corso della serata è stato presentato il Calendario Artistico Gogòl 2025 che, giunto alla sua seconda edizione, quest’anno ha visto raddoppiati i partners del progetto e di conseguenza la sua tiratura.

Inoltre, è stata presentata l’iniziativa dell’Assessorato al Sorriso di Gogòl, nata dall’impegno dell’Associazione e accolta con entusiasmo da ben dodici Comuni siciliani, i cui Ambasciatori al Sorriso ne hanno fatto richiesta. Comuni valutati virtuosi e meritevoli per l’impegno profuso nel sociale.

L’iniziativa, unica nel suo genere, mira a trasformare il sorriso in un valore condiviso e a promuovere azioni concrete che favoriscano il benessere della collettività e lo sviluppo del territorio di riferimento e non solo.

Nel corso della serata tanti gli artisti intervenuti per intrattenere il pubblico: presentatori, musicisti, comici e molto altro ancora.

 

La " cuccia" in onore di Santa Lucia è stato e sarà quell'appuntamento annuale da non mancare durante la Festa della Santa che sarà celebrata il prossimo 13 dicembre con l'apertara della chiesetta sulla somità della collina che sovrasta Regalbuto. La produzione del tradizionale piatto regalbutese è stato voluto dall'associazione AVAS Mons Piemonte e , vogliate consentirmi questa divagazione, marcherà l'assenza di Nino Bonina. Per me sarebbe facile parlare di Nino ma è giusto ricordarlo per il suo costante e infaticabile impegno nel volontariato e soprattutto in quell'impegno sociale volto alla crescita del paese che è riuscito a trasmettere ai volontari dell'Avas che il 13 dicembre in Piazza ricorderanno i sapori di un tempo , i sapori poveri delle famiglie che attorno a una tavola si scaldavano con un piatto dove Fede e devozione, tradizione e folklore si mescolano all’atmosfera della festa e si traducono in una pietanza tipica , la cuccia di Santa Lucia. La nostra città si sveglierà al suono della campana della chiesetta e lungo Via Santa Lucia fin su al santuario , si snoderà la processione dei fedeli devoti alla martire . Al santuario, tuttora frequentato, era legata una insolita espressione di pietà popolare nota come - corsa del fuoco o "delle frasche" - Annualmente la sera del 13 dicembre tutti gli adolescenti ed i ragazzi, escluse le donne, salivano al santuario di S. Lucia, dove i giovani più grandi e gli anziani avevano già preparato le "frasche": fascine a forma di cono eseguite con legna minuta e 'canne legate con rami di oleastro. Quindi accese le torce i giovani più grandi dinanzi e i più piccoli dietro si lanciavano, gridando e correndo, lungo il pendio della strada che va dal santuario al centro abitato, e arrivati nella attuale piazza Vittorio Veneto giravano per tre volte intorno ad una catasta di legna, approntata in precedenza, e vi appiccavano il fuoco. Iniziava allora l'ultima fase del rito. I giovani riuniti in cerchio attorno al falò, per dar prova di virilità e coraggio, si lanciavano tra le fiamme saltandole. Naturalmente più grande era la fiamma e il salto, più alta era la considerazione che il ragazzo acquistava tra i suoi coetanei e, soprattutto, tra le sue coetanee. Vana appare ogni ricerca per determinare l'origine della singolare "processione": nata al sorgere dei tempi in essi si perde. Inoltre non bisogna dimenticare che le "frasche", portate da adolescenti, erano a forma di cornucopia. Questo simbolo era particolarmente caro all'adolescente Attis, dio delle piante e figlio della dea Cibele; e il culto di Attis e di Cibele doveva essere particolarmente vivo qui da noi, come inducono a pensare i numerosi reperti votivi dedicati a questi dei e ritrovati in varie zone del territorio rebalbutese.

Oggi ultimo giorno di Più Libri Più Liberi. La casa editrice ha stretto nuovi partenariati, conosciuto altre realtà del mondo dell'editoria, realizzato l'ennesimo piccolo passo verso il proprio futuro.
Con la speranza di ripetere questo straordinario 2024 anche il prossimo anno.
Ci vediamo al Salone del Libro di Torino dal 15 al 19 maggio '25.

Con l’Immacolata scatta la corsa all’addobbo per l’87% degli italiani che non rinunciano alla tradizione dell’albero di Natale, tra quanti sceglieranno l’abete naturale e chi si indirizzerà verso quello di plastica. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti/Ixe’ diffusa in occasione dell’8 dicembre che segna tradizionalmente il via alle feste. Se la preparazione dell’albero si conferma l’usanza più gettonata, resiste anche quella del presepe, che verrà allestito da un 57% di cittadini, seppur con notevoli differenze lungo la Penisola. Al Nord Ovest la percentuale di chi fa l’albero scende all’83% mentre al Sud sale al 91%. I cittadini del Meridione si rivelano peraltro quelli più affezionati agli addobbi se si tiene conto che ben il 76% allestisce il presepe, che trova meno consensi soprattutto al Centro (47%).

Il valore green dell’abete naturale

L’albero vero troverà posto quest’anno in 3,7 milioni di case – rilevano Coldiretti/Ixe’ -, per una spesa media per l’acquisto di 39 euro tra vivai, garden, mercati contadini e supermercati, seppur con grande variabilità a seconda di specie e dimensioni. Si va dai 20/30 euro per le piante più piccole fino ai 150 o addirittura 200 per le specie più alte. Le varietà principali in vendita sono l’Abete rosso e la Normandiana.

L’albero naturale italiano concilia il rispetto della tradizione con quello dell’ambiente poiché è coltivato soprattutto nelle zone montane e collinari in terreni marginali altrimenti destinati all’abbandono – rileva Coldiretti – e contribuiscono a migliorare l’assetto idrogeologico delle colline ed a combattere l’erosione e gli incendi. Il consiglio al momento della scelta è quello di verificarne la certificazione presente sul cartellino, preferendo quelli di origine italiana, magari acquistati direttamente dai vivaisti.

L’albero finto inquina 

Se l’albero di plastica resta la soluzione più gettonata da 3 famiglie su 4, non va dimenticato che questa scelta ha un alto costo ambientale, considerato che l’abete finto impiega oltre 200 anni prima di degradarsi nell’ambiente. La coltivazione di un albero naturale sottrae 47 grammi di CO2 dall’atmosfera, la produzione invece di un albero sintetico rilascia nell’atmosfera tra i 40-60 kg di CO2, secondo l’analisi Coldiretti.

Toscana e Veneto “capitali” degli abeti

In Italia la coltivazione dell’albero di Natale è concentrata prevalentemente in Toscana (province di Arezzo e Pistoia) ed in Veneto (specie nel Bellunese), secondo l’analisi di Coldiretti. Gli abeti utilizzati come ornamento natalizio derivano per circa il 90% da coltivazioni vivaistiche mentre il restante 10% (cimali o punte di abete) dalla normale pratica forestale che prevede interventi colturali di “sfolli”, diradamenti o potature indispensabili per lo sviluppo e la sopravvivenza del bosco.

Gli abeti ad uso natalizio vengono coltivati come una qualsiasi altra pianta ornamentale, sono commercializzati al 4°-5° anno di coltivazione, con taglie tra i 1,20-1,80 metri  e provengono da vivai autorizzati dalle regioni con apposita iscrizione. gni singolo abete è accompagnato da cartellino identificativo riportante i dati dell’impresa produttrice con il relativo codice di autorizzazione, oltre alla dicitura che trattasi di soggetti “non per uso forestale”.

I consigli per gestire l’albero naturale

Il consiglio della Coldiretti è quello di sistemare l’albero di natale in un luogo luminoso, fresco, lontano da fonti di calore, come stufe e termosifoni e al riparo da correnti d’aria o folate di vento, per la vicinanza a porte e finestre. Meglio poi non spruzzare neve sintetica perché l’albero e vivo e respira. La terra nel vaso va mantenuta umida, ma non eccessivamente bagnata, con l’utilizzo di un nebulizzatore.

Al termine delle festività, se non ci sono le condizioni per piantare l’albero in giardino, si può cercare un centro di recupero, presente in alcuni vivai, ma anche nei Comuni e presso la Forestale che quando è possibile provvedono a ripiantarli in ambienti adatti.

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