"Quella sui destini del “centro” -la sua minorità, le sue potenzialità, la sua egemonia trascorsa, il suo non andar più di moda- è una litania che si ripete di volta in volta, senza mai approdare da nessuna parte. Tanto più dopo un risultato elettorale deludente per le sue due liste, impegnate più che mai nel loro irrefrenabile litigio casalingo.
Così, all’indomani del voto europeo sono scattati subito i due tipici riflessi condizionati di queste occasioni. Prima, il processo intentato a Renzi e a Calenda, con qualche ingenerosità di troppo. Poi, l’affannosa ricerca di un taumaturgico (e improbabile) federatore capace di portare magicamente in quelle lande armonia e successo. Tempo perso, l’una e l’altra cosa.
La difficoltà del centro ha a che vedere peraltro con il successo altrui. E cioè con il fatto che le due vestali del nuovo ordine politico, Meloni e Schlein, hanno vinto tutte e due, e tutte e due paiono assai poco interessate a dialogare con quanti sono rimasti schiacciati dalla tenaglia di quella polarizzazione che le ha premiate. La premier si accontenta di dialogare con Forza Italia, partito a suo modo neocentrista ma anche assai leale al codice bipolare; e non sembra aver alcuna intenzione di spingersi più in là. Quanto alla segretaria del Pd, il suo orizzonte è il referendum che prima o poi si farà sulle riforme meloniane e che avrà bisogno di fare il pieno dei consensi cercandoli nelle piazze e alla sua sinistra. In un caso e nell’altro lo spazio verso il centro appare piuttosto esiguo e le diffidenze piuttosto forti.
D’altra parte, anche sommando i voti dei fu-partiti di Renzi e di Calenda non sembra esserci più abbastanza benzina per fare un lungo tratto di strada. Tanto più dopo aver perso l’occasione delle europee, dove se non altro si votava con la proporzionale. Dunque si annuncia ora un lungo cammino, piuttosto accidentato, che dovrà essere percorso con una grande pazienza e senza farsi troppe illusioni -almeno nel breve periodo. Non c’è insomma alle viste una nuova moda che possa aprire il cuore alla speranza, né un ritorno all’antico che possa recare un conforto più tradizionale. Si gioca semmai contro i favori del pronostico dovendo mettere nel conto che le vie del centro sono tutte costellate di difficoltà. Almeno per ora (e piuttosto a lungo, per quel che si capisce).
Dunque chi insiste a coltivare un’idea di centro dovrebbe abbandonare la speranza di inserirsi nei giochi altrui. E cominciare piuttosto a ragionare sul significato più profondo, meno effimero e strumentale, di quella vocazione a stare nel mezzo. Laddove non c’è più la comodità di un tempo, e neppure l’astuzia del barcamenarsi. Ma forse c’è, e andrebbe ritrovata, un’idea del paese.
E’ quella idea che andrebbe messa meglio a fuoco. L’idea cioè di un paese mosaico. Pluralistico, inclusivo, capace di valorizzare i suoi luoghi intermedi. I paesi e i paesini, piuttosto che le regioni. Il principio e il valore della rappresentanza. Il volontariato. Il popolo minuto e disperso. E ancora, la ricerca di una leadership più capace di ascoltare. La coltivazione di un potere meno monumentale, non più sacralizzato come ora sembra andare di moda. E via di questo passo. Insomma, non tanto l’esercizio delle buone maniere (che pure meriterebbero di essere coltivate anche loro). Ma la capacità di ascoltare i sentimenti profondi e nascosti di quella maggioranza di elettori che ormai non si scomoda più per andare a votare.