Per prevenire il randagismo si può fare ancora molto: l’istituzione del cane di quartiere, riqualificare i canili sanitari e i rifugi, registrare cani e gatti nello stato di famiglia, ecc.Qualsiasi tentativo di prevenzione del randagismo sarà vanificato se non comprende un serio programma di sterilizzazione dei randagi liberi sul territorio. Molti Comuni tuttavia, per mancanza di competenze specifiche o per l’assenza di collaborazione con le associazioni protezioniste, preferiscono, anziché costruire nuovi rifugi, convenzionarsi con i privati per l’accalappiamento e la custodia dei randagi. Con questa consuetudine si sta diffondendo un vero e proprio business dei cani randagi che vede allevatori, pensioni e improvvisati “imprenditori”, talvolta senza scrupoli né amore per gli animali, impegnati nell’aggiudicarsi le convenzioni con i Comuni e le Asl. Un’alternativa può essere rappresentata dal coordinamento tra i Comuni e le Asl per costruire canili consortili, i cui oneri di edificazione vengono ripartiti tra le amministrazioni e la cui gestione è assicurata dalle associazioni protezionistiche riconosciute. In questa direzione si sta lavorando in molte parti d’Italia, proponendo ai consigli comunali delibere di impegno sul progetto intercomunale di canile-rifugio. Un Comune può, ovviamente, decidere in piena autonomia di costruire un proprio rifugio per poi offrire il servizio a pagamento ai Comuni limitrofi e, per autofinanziarsi, attivare la pensione per i cani di proprietà.
Resta inteso che anche se il Comune non ha un proprio canile è obbligato a provvedere, a proprie spese, alla cattura e al ricovero di cani randagi.
Tratto da "Una Provincia amica degli animali. Guida agli amministratori locali per un corretto rapporto tra gli esseri viventi" di Pietro Mezzi (Assessore al Territorio, Parchi, Agenda 21, Mobilità ciclabile e Diritti animali della Provincia di Milano) e Edgar Meyer (Referente Ufficio Diritti Animali della Provincia di Milano).