Nelle sue rare apparizioni tra i vivi, il dio metteva in capo un elmo (kynéë) che lo rendeva invisibile. Ades (o Ade) significò anche il Regno dei Morti, come l’Erebo o gli Inferi. I Romani adorarono questo dio con il nome di Plutone. Enciclopedia De Agostini Ade (in latino Aides oppure Hades, -ae) è una divinità della mitologia greca, fratello di Zeus e di Poseidone. La sua sposa è tradizionalmente Persefone. Dati i suoi attributi mitici avrebbe come corrispettivi nella mitologia egizia il dio Serapide e in quella romana il dio Plutone. È conosciuto anche come Axiokersos, poiché coniuge di Persefone soprannominata infatti “axiokersa”, e Zeus Katakthonios, ossia “signore degli Inferi”. Con Ade si vuole anche intendere più genericamente il mondo degli Inferi. Inizialmente solo il caso genitivo del nome della divinità era impiegato come abbreviazione per intendere la casa del dio dell’oltretomba; in seguito, per estensione, si cominciò a utilizzare il termine in tale significato anche al nominativo. Nella mitologia latina inizialmente Plutone (l’alter ego latino di Ade) è definito Signore degli Inferi, e solo successivamente Signore dell’Ade. Altro termine utilizzato è Averno, nome del lago dal quale si può accedere agli inferi. Ade era figlio di Crono e di Rea, mentre i suoi fratelli e sorelle erano Estia, Demetra, Era, Zeus e Poseidone. Secondo il mito venne divorato dal padre insieme ai suoi fratelli e sorelle, con la sola eccezione di Zeus, che – salvato dalla madre – li trasse in salvo con uno stragemma. Secondo la Suda, un testo tardo-bizantino del X-XI secolo, avrebbe avuto una figlia di nome Macaria, dea della buona morte. Ade partecipò alla Titanomachia, nell’occasione in cui i Ciclopi gli fabbricarono la kynéë, un copricapo magico in pelle d’animale che gli permetteva di diventare invisibile: così poté introdursi segretamente nella dimora di Crono rubandogli le armi e mentre Poseidone minacciava il padre col tridente Zeus lo colpì con la folgore. In seguito, ricevette la sovranità del mondo sotterraneo e degli Inferi, quando l’universo fu diviso con i suoi due fratelli Zeus e Poseidone, che ottennero rispettivamente il regno dell’Olimpo e del mare. Viene annoverato saltuariamente fra le divinità olimpiche, nonostante questo sia contrario alla tradizione. Ade è d’altra parte assai poco presente nella mitologia, essendo essenzialmente legato ai racconti mitologici legati agli eroi: Orfeo, Teseo ed Eracle sono tra i pochi mortali ad averlo incontrato. Inoltre la tradizione lo vuole riluttante ad abbandonare il mondo dell’aldilà: le uniche due eccezioni si ricordano per il rapimento di Persefone e per ricevere alcune cure dopo essere stato ferito da una freccia di Eracle. La leggenda lo vuole padrone delle greggi solari, al pascolo nell’isola Erizia, la cosiddetta isola rossa, dove il Sole muore quotidianamente. Il pastore era chiamato Menete. Tuttavia in queste storie è chiamato Crono, o Gerione. Ade, innamorato di Persefone, la rapì con l’accordo di Zeus mentre stava raccogliendo dei fiori in compagnia delle ninfe, secondo il mito nell’attuale lago di Pergusa nei pressi di Enna. Sua madre, disperata per la scomparsa della figlia, la cercò per nove giorni arrivando fino alle regioni più remote. Il decimo giorno, con l’aiuto di Ecate ed Elio, seppe che il rapitore era il dio degli Inferi. Adirata, Demetra abbandonò l’Olimpo e scatenò una tremenda carestia in tutta la terra, affinché questa non offrisse più i suoi frutti ai mortali e agli dei. Zeus tentò allora di riconciliare Ade e Demetra, affinché si evitasse la fine del genere umano: inviò il messaggero Ermes al fratello, ordinandogli di restituire Persefone, a patto che ella non si fosse cibata del cibo dei morti. Ade non si oppose all’ordine ma, poiché Persefone era effettivamente digiuna dal rapimento, la invitò a mangiare prima di tornare dalla madre: le offrì così un melograno in dono, frutto proveniente dagli Inferi. In procinto di mettersi sulla via di Eleusi, uno dei giardinieri di Ade, Ascalafo, la vide mangiare pochi grani del melograno: in questo modo si compì dunque il tranello ordito da Ade, affinché Persefone restasse con lui negli Inferi. Allo scatenarsi nuovamente dell’ira di Demetra, Zeus propose un nuovo accordo, per cui, dato che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell’oltretomba solamente per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell’anno; avrebbe trascorso così sei mesi con il marito negli Inferi, e sei mesi con la madre sulla terra. La proposta fu accettata da entrambi, e da quel momento si associarono la primavera e l’estate ai mesi che Persefone trascorreva in terra dando gioia alla madre, e l’autunno e l’inverno ai mesi che passava negli Inferi, durante i quali la madre languiva. Secondo Ovidio e Strabone, Ade tentò di approffittarsi della ninfa Menta (Mínthë). Persefone, gelosa del marito, si dispiacque dell’unione e si infuriò quando Menta proferì contro di lei minacce spaventose e sottilmente allusive alle proprie arti erotiche. Persefone, sdegnata, la fece a pezzi: Ade le consentì di trasformarsi in erba profumata, la menta, ma Demetra la condannò alla sterilità, impedendole di produrre frutti. Leuce, un’altra ninfa figlia di Oceano, fu rapita da Ade e trasformata da Persefone in pioppo bianco presso la fontana della Memoria. Per Ade si sacrificavano, unicamente nelle ore notturne, pecore o tori neri, e coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso: secondo Omero, infatti, Ade era il più ripugnante degli dei. Il suo culto non era molto sviluppato ed esistono poche statue con sue raffigurazioni. Dei pochi luoghi di culto a lui dedicati, il solo degno di nota è Samotracia, mentre si suppone ne esistesse un secondo situato nell’Elide, a nord ovest del Peloponneso; è possibile che un altro centro del suo culto si trovasse ad Eleusi, strettamente connesso con i misteri locali. Euripide indica che Ade non riceveva libagioni rituali. Veniva solitamente rappresentato come un uomo maturo, barbuto e feroce, spesso seduto su un trono e dotato di una patera e di uno scettro, con il cane a tre teste protettore degli Inferi, Cerbero. A volte si trovava anche un serpente ai suoi piedi. Indossa molto spesso un elmo, oppure un velo che gli copre il volto e gli occhi. Si hanno sue rappresentazioni in moltissimi contesti ceramici, soprattutto nelle pínakes di Locri Epizefiri. Altri esempi si conoscono in alcuni affreschi della Tomba dell’Orco (altro nome del dio) a Tarquinia, mentre ad Orvieto se ne ha una raffigurazione all’interno della Tomba Golini I. Per la Grecia si ricordano un trono del Partenone attribuito a Fidia e una base colonnare da Efeso, più esattamente dal Tempio di Artemide. Nel mondo romano i sarcofagi, soprattutto in età tardo antica, usavano rappresentare il ratto di Proserpina e dunque una raffigurazione del dio infernale. Ade è l’antagonista principale del film d’animazione della Walt Disney Hercules, e appare inoltre nella serie animata televisiva basata su Hercules e nella serie di videogiochi Kingdom Hearts. Come dio benevolo è fra i protagonisti di entrambe le serie televisive di Hercules e Xena: Principessa Guerriera. Inoltre è uno dei personaggi principali del manga I Cavalieri dello zodiaco, in cui i protagonisti sono coinvolti in un combattimento finale contro Hades, quale dio degli Inferi. Infine si trova anche come personaggio non giocante dei videogiochi per PlayStation 2 God of War e God of War II. Palazzo Ajutamicristo: Il Palazzo (in via Garibaldi 23 a Palermo) prende il nome da Guglielmo Ajutamicristo, barone di Misilmeri e di Calatafimi, che l’aveva fatto costruire per la sua famiglia tra il 1495 ed il 1501 Questi, banchiere di origine pisana, arricchitosi nel giro di qualche decennio con il commercio di formaggi e di cereali siciliani, stanco di abitare nell’arabo castello di Misilmeri, da tempo desiderava realizzare nella capitale una “domus magna” che bene potesse rappresentare la sua ricchezza e che risultasse da ornamento e decoro alla città stessa. L’occasione gli fu offerta dall’arrivo a Palermo del celebre architetto Matteo Carnilivari (già autore del Palazzo Abatellis, oggi Galleria Regionale della Sicilia), al quale egli affidò la fabbrica del suo palazzo sulla strada di Porta Termini. Ma, a causa dell’eccessiva spesa, il palazzo venne realizzato solo in parte, modificando i grandiosi piani stabiliti all’inizio. Lo storico palazzo fu in quel tempo la dimora prediletta di ospiti illustri. Nel 1500 ospitò la regina Giovanna, moglie del re Don Ferrante di Napoli; nel 1535 vi soggiornò l’imperatore Carlo V, non potendo alloggiare nel Palazzo Reale non adatto alla sua magnificenza; nel 1544 vi dimorò Muley Hassan, re di Tunisi, poco prima di essere accecato da suo figlio Ajaja; nel 1576 vi fu ricevuto Don Giovanni d’Austria, fratello del re Filippo II, vincitore della battaglia di Lepanto alla quale aveva preso parte anche l’ammiraglio Marcantonio Calefati con la flotta pisana. Nel 1588 Margherita Ajutamicristo concesse il palazzo a Francesco Moncada, primo principe di Paternò, per il canone di 390 onze annuali, concessione che ben presto si tramutò in proprietà. Nell’800 i Moncada vendono il Palazzo alle famiglie Calefati di Canalotti e Tasca d’Almerita; a tutt’oggi la famiglia Calefati detiene la sua parte di proprietà, mentre l’altra metà è stata acquistata dalla Regione Siciliana.
…a Enna negli anni ’30 fu demolito il quattrocentesco Palazzo Varisano dei baroni di Pasquasia, di stile gotico-catalano, dichiarato Monumento Nazionale nei primi anni del Novecento. La gentilizia costruzione – si legge nelle pagine di Paolo Vetri (Storia di Enna, rist. a cura del Comune, Ila Palma, Palermo, 1978), “si presenta come un blocco compatto a muratura piena al pianterreno, interrotta soltanto dal grande portale […]; al superiore piano nobile ampie finestre balconate illuminano la sala magna centrale e le altre sale di rappresentanza”. Fu accostato per “il pittoresco gotico fiorito”, ai disegni e all’architettura del netino Matteo Carnelivari che a Palermo realizzò i palazzi Abatellis e Ajutamicristo…. by Salvatore Presti (nella foto: il Palazzo Varisano, il piano nobile, in uno scatto degli anni ’20)