Quel che viene a mancare. Il saggio critico e Carmelo Bene” è un libro scritto a quattro mani da Cateno Tempio e Davide Dell’Ombra, edito dalla catanese Villaggio Maori Edizioni. Eppure sin da subito i due autori ne rifiutano la paternità, mettendo in discussione il concetto stesso di autore: due autori per un libro che di autori non ne vuole avere. Dalla quarta di copertina (firmata da “un amico”) leggiamo: «Se i libri sono come figli, questo non avrebbe dovuto vedere la luce. Se, però, godete nel veder distrutti duemilacinquecento anni di storia del pensiero occidentale, è la lettura che fa per voi. La forma letteraria ed editoriale è fuori da ogni logica degna di questo nome; il contenuto – se c’è – è il prodotto di un maltrattamento ripetuto del linguaggio. Impossibile dare indicazioni bibliografiche precise: non hanno nemmeno inserito i numeri di pagina, e la filosofia insieme ai suoi più grandi nomi ne esce bistrattata (la dialettica hegeliana – per dirne una – è scambiata per un fine settimana trascorso tra bottiglie di alcolici). È chiaramente uno scritto privo di obiettivi, o ne ha forse solo uno: “fastidiare”». La struttura dell’opera ricorda la forma teatrale, con dialogo monco suddiviso in atti, cui segue un apparato che diviene a sua volta un saggio. Persino la “bibliografia mancante” costituisce piuttosto un vero e proprio saggio bibliografico. Oggetto principale del libro dovrebbe essere il retroterra filosofico di Carmelo Bene, figura di spicco dell’ultimo scorcio del Novecento, poeta, drammaturgo, attore, regista, saggista e assieme nulla di tutto questo. Ma si comprende bene come l’analisi Bene non sia che un pretesto per dare libero sfogo a una serrata critica filosofica volta a comprendere chi è il filosofo, ossia chi è il saggio critico. Insomma, si tratta di un vero e proprio libro di filosofia, che cerca di destrutturare la vecchia forma saggistica attraverso un uso esasperato ed esoterico del linguaggio. Una delle possibili chiavi di lettura del libro è un motto nietzscheano, ripreso da Carmelo Bene, perché per il saggio critico «non si dà capolavoro d’arte. Fuor dell’opera si è capolavori». Nel tentativo di trarsi fuori dall’opera sta tutta la nozione di “fastidio”; gli autori escono dall’opera e vestono soddisfati e compiaciuti gli scomodi panni di “fastidiatori”. Sarebbe troppo lungo elencare i filosofi che attraversano l’opera come personaggi di un’opera teatrale: Deleuze, Kierkegaard, Colli, Hegel, Sgalambro, Nietzsche, Stirner, Wittgenstein... Il libro si presta a molteplici interpretazioni e offre diversi livelli di lettura. L’approccio più proficuo è anche il più dilettevole; lo si dice nel testo stesso: si tratta di gioco, come quando i bambini si divertono in uno scivolo e non si stancano mai di risalire e ridiscendere. Perché “fastidiare” è anche questo: partecipare assieme a un piccola, grande burla.
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