Libri. " Lo scemo il coccodrillo e l'Udinese". In evidenza

Luglio 08, 2015 1317

Dopo l’affettuoso tributo ad Agyrion, antichissima città del mondo che conobbe l’emiteos figlio di Alcmena e si inorgoglì per la Bibliotheca Historica del siceliota Diodoro, Gaetano Amoruso pubblica, finalmente con una casa editrice, la Bonfirraro, San Filippo di Agira, il santo miracoloso che guarisce il corpo e la mente. La città che si aggrappa al monte Teja, è il posto dove la sua psiche, vale a dire il principio invisibile e spirituale che governa le funzioni superiori della mente, ancora acerba ma curiosa e magmatica, inizia a pensare, a pensare oltre, e a elaborare le proprie prospettive. Quindi, sempre con Bonfirraro,  Unikuore, il bellissimo libro che racconta storie di amicizia e di studio vissute da un cluster di persone, alcune giovanissime altre meno, che per seguire vertute e canoscenza si iscrivono all’Università e conseguono la laurea in Scienze della comunicazione. Un’arte, la comunicazione, difficile da applicare in questa società vociante, che per questa sua difficoltà necessita di regole e di paradigmi che molto spesso, però, si rivelano inutili o inappropriati. Annus horribilis è infatti questo nostro presente. Con il libro Lo scemo, il coccodrillo e l’Udinese, Amoruso, rerum scriptor o in ossequio al malcostume che privilegia le cacofonie del language english e snobba la musicalità di una lingua nata con la poesia di Ciullo d’Alcamo e di Lapo Gianni, writerversion pensante ed elegante, ci consegna la sua aristeia, ovvero la sua prova di valore, la più recente, certamente non l’ultima considerato il fuoco creativo che lo incendia, prometeo a cui auguriamo che le aquile dei cieli dove si costruisce l’aria che si deve respirare non scendano a rosicargli il fegato. Lo scemo, cioè colui (felice, infelice, chi può dirlo?) che la società di vergogna nella quale ci tocca vivere giudica pazzo, diverso, allogeno, stravagante, introverso, sbizzarrendosi nell’uso degli epiteti, molto caro alle odierne politiche dello scarto. Lo scemo, però, dai sette anni, cioè da sempre, innamorato dell’Udinese al punto da andare fuori tema quando, aggiungendo senza che ci trasiva nenti che l’Udinese è la sua squadra del cuore, diversamente dai condiscepoli, scrive di preferire non il giorno del Signore ma quello di Giove. Dai sette anni, alba della vita, è da sempre; i sette anni sono gli anni nei quali, secondo l’esperienza di molti e, come si apprende, anche del nostro artista, si comincia ad essere più attenti, a guardarsi intorno, a valutare, a interrogare e a interrogarsi.

Lo scemo, certamente lo scemo per gli eserciti di sfegatati tifosi juventini, milanisti e interisti che sovraffollano il panorama calcistico nazionale e non gli pare vero che esistano altre passioni, scopre da subito, dentro sé, improvvisamente, una singolarità, non propriamente una diversità, indicativa di una specialità che appartiene solo ai pochi e porta chi la possiede in strane, apparentemente, direzioni, comunque diverse, libere, non massificate, che orientano il modo di essere, di pensare, di vivere e di porsi davanti agli altri da se stessi.

Pinella ci mette del suo quando “pure tu sì’ juventinu?” gli dice in tono leggermente sarcastico scompigliandogli il ciuffo ipocondriaco, ma Pinella è solo il pretesto, lo spunto, la provocazione, la scossa, che l’esprit dèja livre del nostro accoglie repentinamente, appropriandosi, e consolidandolo perché già lo tiene dentro, di un diverso, originale, libero, non omologato modus agendi, virtuosamente orientato verso scelte non comuni, insieme con le quali crescere e verificarsi accompagnando il trascorrere del tempo. L’Udinese, al tempo in cui scoppiò ex improvviso la lux accesa da Pinella, ovvero la folgorazione che riplasmò la giovane mente di Gaetano, era ultima in classifica, con diciassette punti, nonostante le dieci reti del suo capocannoniere. E Riccardo, il coccodrillo, ne rideva! Ma sia il donchisciottesco, nuovo, originale tifoso, indifferente alla grandeur delle squadre più blasonate, scemo per la pubblica opinione, che scopre nell’Udinese uno stimolo che gli dà il coraggio di fare cose che diversamente non avrebbe mai fatto, sia il fido coetaneo, detentore di figurine Panini vendute a caro prezzo, che tifa per il grande club, legati come sono dall’amicizia non esitano a condividere, l’uno di fatto, l’altro per simpatia, una inclinazione che lascia le elevate e polverose curve di Santa Maria, nella natìa Agira, e raggiunge Catania per la partita contro l’Udinese, dove ammira le prodezze balistiche del maestro di fùtebol bailado, ovvero Zico, la perla bianca, Udine per quella contro il Licata, Palermo, sempre per la partita contro l’Udinese, dove sventolare orgogliosamente bandiera bianconera, a dimostrazione di un'appartenenza che non retrocede davanti a possibili aggressioni di pochi esagitati che male interpretano l’agone calcistico. Oggi, quanto possano essere pericolosi i campi di calcio è dimostrato dai tristi avvenimenti, alcuni recentissimi e disarmanti, che i canali d’informazione non hanno mancato di divulgare per scoraggiare e ammonire le numerose teste calde che rovinano il gioco del calcio. Alla base dell’operare di un artista sensibile e voluttuoso di conoscenze e di esperienze (Gaetano lo è) sta l’ispirazione, l’entousiasmòs, cioè la possessione, che consiste in uno slancio fantastico della mente verso direzioni inusuali per altri; tale ispirazione, trattandosi di un poeta, deriva da alcune divinità, le Muse, figlie di Mnemosìne e di Apollo; nel caso del nostro, l’Udinese, piccola realtà calcistica, è sicuramente, specie considerando il momento in cui si rivela, una iniziale musa ispiratrice di valori che non saranno mai contraffatti da illogiche devianze dove la fanno da padrone le losche divinità del denaro e del potere che ingarbugliano e disorientano la nostra contemporaneità. Si potrebbe aggiungere altro, ma evitiamo di farlo, limitandoci a condividere, insieme con Brown e Gaetano Amoruso, persone che meritano la pubblica stima, “mi piacerebbe essere diverso da quello che sono; così, tanto per cambiare e vedere un po’ come ci si sente”.

Mimmo Riggio