Desertificato, in affanno e recessione. E sempre più lontano dal Nord e dall’Europa. Il rapporto Svimez 2019 disegna un Sud da «ultima chiamata» che l’anno scorso ha subito una «brusca frenata».
Ma la vera emergenza del Sud è l’emigrazione. Dal 2002 al 2017 oltre 2 milioni di persone se ne sono andate dalle regioni meridionali di cui 132mila nel solo 2017: di queste più della metà sono giovani – 66mila – di cui 22mila laureati. L’arrivo dei migranti – già prima che venisse rottamato da Salvini il modello Riace – non compensa le perdite: il saldo migratorio è negativo per 852mila unità in 15 anni – di poco inferiore alla popolazione di Napoli -, di 70mila unità nel 2017. Ancor più che nel resto del paese, dunque, sono molti di più i giovani che lasciano il Sud dei migranti che arrivano. Se i cittadini stranieri che dall’estero sono arrivati nel mezzogiorno sono stati 75mila nel 2017, dal Sud si sono spostati al Nord e in Europa oltre 132mila persone.
Il Sud è fermo: se nel 2018 ha fatto registrare una crescita del Pil dell’appena +0,6%, rispetto +1% del 2017. Ma nel 2019 secondo le stime dello Svimez sarà recessione con un andamento del Pil previsto in diminuzione dello 0,3% (mentre il Centro-Nord segnerà un +0,3%).
IL DATO PIÙ PREOCCUPANTE nel 2018, che segna la divergente dinamica territoriale, è il ristagno dei consumi nell’area (+0,2, contro il +0,7 del resto del Paese). Mentre il Centro-Nord ha ormai recuperato e superato i livelli pre crisi, nel decennio 2008-2018 la contrazione dei consumi meridionali risulta pari al -9%.
SUL PIANO OCCUPAZIONALE le cose non vanno meglio. Tra fine 2018 e inizio 2019 i contratti a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sono stati 84 mila in meno (-2,3%), mentre nelle regioni centro-settentrionali sono aumentati di 54 mila (+0,5%), con un saldo italiano negativo di 30 mila unità, pari a -0,2%. Per converso, i dipendenti a tempo determinato sono cresciuti di 21 mila unità nel Mezzogiorno (+2,1%), mentre sono calati al Centro-Nord di 22 mila (-1,1%). Resta ancora troppo basso il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno, nel 2018 appena il 35,4%, contro il 62,7% del Centro-Nord, il 67,4% dell’Europa a 28 e il 75,8% della Germania. La Svimez ha stimato che il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord (calcolato moltiplicando la differenza tra i tassi di occupazione specifici delle due ripartizioni per la popolazione meridionale) nel 2018 è stato pari a 2 milione 918 mila persone, al netto delle forze armate. È interessante notare che la metà di questi riguardano lavoratori altamente qualificati e con capacità cognitive elevate. I settori nei quali vi sono i maggiori gap sono i servizi (1 milione e 822 mila unità, -13,5%), l’industria in senso stretto (1 milione e 209 mila lavoratori, -8,9%) e sanità, servizi alle famiglie e altri servizi (che complessivamente presentano un gap di circa mezzo milione di unità).
È NELLA SANITÀ CHE IL DIVARIO Nord-Sud raggiunge picchi da brividi. Nell’offerta di posti letto ospedalieri per abitante: 28,2 posti letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti al Sud, contro 33,7 al Centro-Nord. Nel settore socio-assistenziale e i servizi per gli anziani: per ogni 10.000 utenti anziani con più di 65 anni, 88 usufruiscono di assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari al Nord, 42 al Centro, appena 18 nel Mezzogiorno, di cui addirittura 4 su 10 mila in Basilicata, 8 in Molise, 11 in Sardegna, 15 in Sicilia. Mentre i posti letto nelle strutture residenziali e semi residenziali, comprensivi degli istituti di riabilitazione, ogni 10 mila persone (non solo anziani) sono 73,47 al Centro-Nord, e 21,21 al Mezzogiorno, con punte di appena 9,85 in Sicilia e 14,28 in Campania.
ANCOR PIÙ DRAMMATICI sono i dati che riguardano l’edilizia scolastica. A fronte di una media oscillante attorno al 50% dei plessi scolastici al Nord che hanno il certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28,4%. Inoltre, mentre nelle scuole primaria del Centro-Nord il tempo pieno per gli alunni è una costante nel 48,1% dei casi, al Sud si precipita al 15,9%. Con punte del 7,5% in Sicilia e del 6,3% in Molise.
Nel 2018, Abruzzo, Puglia e Sardegna sono le regioni meridionali che fanno registrare il più alto tasso di sviluppo, rispettivamente +1,7%%, +1,3% e +1,2%. In Campania invece c’è stata crescita zero, determinata da un rallentamento dell’industria che aveva trainato la regione negli anni scorsi e soprattutto da quello negativo dei servizi. Infine la Calabria, unica regione non solo meridionale ma italiana, ad accusare una flessione del Pil nel 2018, -0,3%, dovuta però prevalentemente alla performance negativa del settore agricolo (-12,1%).
MENTRE C’È IL RISCHIO che l’area meridionale si allarghi: perfino le Marche e l’Umbria «se non sono già retrocesse, sono in transizione».