Alla fine dello scorso anno, è stato pubblicato il decreto legislativo 216 relativo all’attuazione della riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche. Uno dei cambiamenti più rilevanti è legato alla modifica degli scaglioni a cui applicare le aliquote, che da 4 passano a 3. Si tratta di cambiamenti che, come segnala Ifel, non riguarderanno l’addizionale comunale Irpef, una delle entrate tradizionali delle amministrazioni italiane. Le tasse e le imposte rappresentano una fonte di entrata importante anche per i comuni, contribuendo come voce complessiva di entrata al 23,5% degli introiti delle amministrazioni. Si tratta di entrate necessarie per garantire un funzionamento efficiente della macchina amministrativa che permette poi di avere dei servizi capillari su tutto il territorio. Assieme all’imposta municipale unica (Imu) e alla tassa sui rifiuti (Tari), l’addizionale comunale dell’Irpef rappresenta una delle principali imposte versate dai contribuenti alle amministrazioni. Questa particolare fonte di entrata è legata all’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef). Le tipologie di reddito incluse sono di diverso tipo, tra i principali si comprendono i redditi fondiari, quelli di capitale, quelli di lavoro autonomo e dipendente (incluse le pensioni) e quelli di impresa. L’addizionale è stata istituita alla fine degli anni novanta con il decreto legislativo 360/1998. Per i comuni è possibile, salvo deroghe particolari come quella concessa al comune di Roma, istituire un’aliquota non eccedente lo 0,8%. Le amministrazioni possono introdurre un’aliquota unica oppure delle aliquote differenziate tra di loro, con la clausola di adeguarsi agli scaglioni di reddito presenti per la componente Irpef nazionale. Una condizione che verrà a meno per il 2024. È inoltre possibile per i comuni introdurre una soglia di esenzione subordinata a specifici requisiti reddituali.
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