Ho scelto di dire tutto ciò con quel fiore sulla cattedra. Perché quella pianta resterà con noi tutto l’anno. Ho chiesto loro di portare ognuno un fiore perché possiamo imparare che solo prendendoci “cura” di una pianta, di una persona, di noi, della scuola, possiamo crescere.
Non conta il primo giorno di scuola ma ciò che ha valore sono gli altri 200 che passeremo insieme. Chi fa il maestro non dovrà dimenticare di appassionarsi ogni giorno, di reinventarsi, di rimettersi in gioco, di imparare ad ascoltare, a fare silenzio per lasciare spazio alle parole che nasceranno dal mettersi a parlare insieme della meraviglia delle Alpi, dell’importanza delle tabelline, della “magia” che la nostra lingua sa fare quando si scrive un racconto, quando si leggono autori che hanno fatto la storia del nostro Paese. Perché nessuna lezione esiste già. La lezione si fa con i ragazzi, si scolpisce nel legno per farla diventare la scultura più bella di quel giorno.
Non conta il primo giorno di scuola ma tutte quelle volte che sapremo aprire le porte delle nostre classi a chi ha qualcosa da dare alla scuola; tutte le volte che le mamme e i papà non verranno a prendere i loro figli o a portarli ma “entreranno” a far parte di questo cammino. Non esiste campanella d’inizio o fine lezione perché quando incontri un tuo alunno per strada, continui ad essere il maestro.
E non abbiamo bisogno nemmeno di chi fa passerella il primo giorno di scuola per poi lasciare le nostre aule senza connessione wifi, senza libri, senza maestri, senza fondi per fare un viaggio d’istruzione, senza docenti di sostegno, senza formazione. Una delle cose che i bambini insegnano ai maestri è quella di non fare promesse inutili. Nemmeno il primo giorno di scuola.
Io non so se voi ricordate quando avete messo piede tra i banchi la prima volta. Io no. Ma non posso dimenticare la maestra Teresa: quando in classe recitavamo la preghiera, quando il sabato leggeva Cipì di Mario Lodi, quando mi insegnò ad amare l’Africa parlando del nipote missionario in Mozambico.